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mercoledì 22 aprile 2015

730 precompilato - controlli necessari per evitare errori

Il modello 730/2015 precompilato ha debuttato il 15 aprile; esso interessa i lavoratori dipendenti ed i pensionati che hanno presentato la dichiarazione nel corso del 2014 relativa ai redditi del 2013 e coloro che hanno ricevuto dal sostituto d’imposta la Certificazione Unica 2015.
            Il modello in questione rappresenta una vera e propria dichiarazione dei redditi nella quale il Fisco ha già inserito i dati legati a redditi, ritenute, versamenti e ad alcune spese detraibili o deducibili, ovvero agli elementi ricavabili dalle: Certificazioni Uniche, dichiarazioni dell’anno precedente e  dalle informazioni già presenti nell’Anagrafe tributaria.
            Il contribuente deve verificare se i dati inseriti sono corretti e completi. Di conseguenza, a seconda dei casi, il soggetto interessato potrà:
-        Accettare la dichiarazione senza apporre modifiche;
-        Rettificare i dati non corretti;
-        Integrare i dati non presenti nella dichiarazione precompilata esistente.
            Nell’esaminare la correttezza dei dati predisposti dall’Agenzia delle Entrate i contribuenti dovranno inserire principalmente le informazioni riguardanti gli oneri deducibili (in particolare quelli non ricavabili dalle dichiarazioni precedenti) come: le spese mediche, per istruzione, funebri, asili nido, ecc. L’Agenzia delle Entrate, non essendo in possesso di tali informazioni, non ha potuto inserirle.
            Occorre porre attenzione anche sulla correttezza dei dati inseriti nel modello. Può capitare anche l’inesatto recepimento delle informazioni relative agli oneri deducibili o detraibili e agli interessi passivi sui mutui oppure inerentemente alle assicurazioni possono emergere delle incongruenze causate dal fatto che le Entrate hanno inserito i relativi dati riportando nel 2015 (per 2014) le informazioni acquisite nella dichiarazione dell’anno precedente (ovvero 2014 per 2013). Ogni qualvolta tali importi siano differenti oppure quando debbano essere inseriti nel 2015 per la prima volta si dovrà procedere alle modifiche del modello 730 precompilato.
             La seconda causa di assenza dei dati (o di divergenza tra i valori inseriti dal Fisco e quelli effettivi) è un possibile controllo documentale in corso sulla dichiarazione presentata nel 2012 per il 2011. In tali casi, i relativi valori, saranno di default in attesa di approvazione da parte del contribuente; ad es. se l’oggetto di monitoraggio sono le assicurazioni sulla vita, il contribuente sarà obbligato a confermarli e/o inserirli nel modello 730/2015.

            In tutte le sopra descritte situazioni risulta indispensabile una scrupolosa analisi della documentazione necessaria per la detraibilità o deducibilità dell’onere, abbinata all’accurato esame dei requisiti previsti dalle vigenti norme di legge.

venerdì 17 aprile 2015

lettere di intento - ora anche cumulative

A partire dal 1 gennaio 2015, a seguito delle disposizioni del Decreto sulle Semplificazioni, non è più il fornitore ad essere obbligato ad inviare all’Agenzia delle Entrate la comunicazione con i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute; tale impegno è ora a cura degli esportatori abituali.
            Gli esportatori abituali, ossia i soggetti che nell’anno solare precedente, o negli ultimi 12 mesi, hanno registrato esportazioni, od altre operazioni assimilate, per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari conseguito nello stesso periodo, possono acquistare beni o forniture dei servizi in esenzione IVA, a patto che emettano le c.d. Lettere di intento. Tali documenti devono essere trasmessi telematicamente all’Agenzia delle Entrate con conseguente rilascio della relativa ricevuta telematica. Solamente dopo aver eseguito l’obbligo in esame, lo stesso esportatore dovrà  consegnare al fornitore la dichiarazione d’intento e la relativa ricevuta.
            Il fornitore, dopo aver ricevuto e controllato tale documentazione, potrà emettere fattura senza l’addebito dell’Iva e con la dicitura “operazione non imponibile”.
            La Risoluzione 34/E/15 dell’Agenzia delle Entrate porta ulteriori semplificazioni nella disciplina in oggetto. Il Fisco, sentito il parare delle Dogane, ha ammesso la possibilità per il contribuente di redigere un’unica dichiarazione d’intento cumulativa, valida per tutte le operazioni. Così viene abbandonato il sistema “one to one” che esigeva la presentazione delle dichiarazione di intendo per ogni singola bolletta doganale. Da ora in poi sarà sufficiente la comunicazione "cumulativa" trasmessa telematicamente all'Agenzia delle Entrate, e la ricevuta telematica che attesta la relativa trasmissione. La nuova procedura fa venir meno l'obbligo di controllare volta per volta ciascuna operazione.
Non è ancora disponibile il modello aggiornato delle lettere di intento, ma la dicitura (della risoluzione n. 355235 del 27 luglio 1985 finora in vigore) “nel caso di importazioni di beni la dichiarazione d’intento deve essere presentata in dogana per ogni singola operazione specificando il relativo importo”, nell'attuale modello non è più valida. In attesa dei nuovi modelli delle dichiarazioni (come riportato nella recente risoluzione): “l’operatore potrà compilare alternativamente il campo 1 ovvero il campo 2 del modello di dichiarazione d’intento, inserendo, in quest’ultimo caso, l’importo corrispondente all’ammontare della quota parte del proprio plafond Iva che presume di utilizzare all’importazione nell’anno solare”.

domenica 12 aprile 2015

Italiani all'estero - quando la residenza è comunque in Italia

Le disposizioni dell’art. 2, co. 2, del TUIR indicano che una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta:
·         risulti iscritta nell’anagrafe della popolazione residente, o,
·         abbia in Italia la propria residenza, ovvero la dimora abituale (art.43, co.2 c.c.)
·         conservi nel nostro paese il suo domicilio, ossia la sede principale degli affari e interessi (art.43, co. 1 c.c.).
            Le suddette condizioni sono del tutto indipendenti l’una dall’altra e affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente è sufficiente che sussista uno soltanto di tali requisiti. Di conseguenza, i contribuenti, pur essendo cancellati dall’anagrafe italiana ed essendosi iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), fiscalmente possono essere considerati residenti. Tale fatto ha luogo in considerazione del fatto che l’iscrizione all’Aire è solo un elemento formale, ed è sempre suscettibile di prova contraria. Tale prova potrebbe consistere nel indicare, solitamente da parte dell’Amministrazione finanziaria, il domicilio fiscale nel territorio italiano.
            Il Legislatore ha fissato il domicilio nel luogo in cui la persona ha stabilito “la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Il domicilio è quindi un rapporto giuridico, che prescinde dalla presenza effettiva della persona in uno spazio. La nozione “affari ed interessi” deve intendersi non letteralmente ma in senso ampio e quindi includere non solo i rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche quelli morali, sociali e familiari.
            In quest’ottica, la determinazione del domicilio deve essere sempre desunta dando rilievo anche a tutte le stretti, prevalenti, relazioni sociali e familiari di un soggetti in Italia, tra cui ad esempio: presenza fisica dei familiari. Tali elementi di fatto, direttamente o indirettamente, denunciano la presenza in un certo luogo di un complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona.
            La Cassazione sul tema era abbastanza rigorosa, in quanto riteneva prevalentemente che l’iscrizione all’Aire non fosse determinante per escludere la residenza fiscale in Italia quando il soggetto avesse avuto nel territorio dello Stato il proprio domicilio ovvero la sede principale degli interessi, affari  e delle relazioni principali.
            Con la sentenza n. 6501, depositata il 31 marzo scorso, la Corte ha cambiato il proprio approccio. Infatti, ha ritenuto che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale. In tale ottica, le relazioni in oggetto possono venire in rilievo solamente se seguono ad altri probanti criteri. La sede dell’attività lavorativa sarà pertanto il parametro fondamentale per la determinazione della residenza fiscale del cittadini e non, come fin ora, i legami affettivi  o familiari .
            Si deve sottolineare che la Corte di Cassazione ha sentenziato in merito al caso di un cittadino italiano che si era trasferito anni fa in un paese extra UE. In merito al trasferimento dei cittadini italiani in altro stato membro si deve sempre considerare però l’art. 7 n. 1, co.2 della direttiva 83/182/CEE e la giurisprudenza della corte di giustizia europea dove si indica, qualora non sia possibile l’individualizzazione del centro permanente degli interessi, stante una diversa collocazione geografica dei legami personali e di quelli patrimoniali-professionali, la prevalenza dei legami personali come punto di riferimento principe per la determinazione della residenza fiscale.

mercoledì 1 aprile 2015

TFR in busta paga

La Legge di stabilità 2015 prevede, in via del tutto sperimentale e per i periodi di paga ricompresi tra il 1° marzo 2015 ed il 30 giugno 2018, la possibilità di richiedere la liquidazione periodica delle quote maturate mensilmente relative al trattamento di fine rapporto da parte dei lavoratori dipendenti. A seguito di istanza del lavoratore, redatta sul modello previsto dall’apposito decreto attuativo, i datori di lavoro saranno obbligati a corrispondere la cosiddetta quota integrativa della retribuzione (Quir) pari alla misura integrale della quota maturanda del Tfr determinata in base all’art. 2120 del Codice Civile, al netto del contributo previsto dalla legge 297/1982.
            La Quir è soggetta a tassazione ordinaria e non è imponibile ai fini previdenziali.
            Il pagamento decorrerà dal mese successivo a quello di presentazione della richiesta e proseguirà fino al periodo di paga che scadrà il 30 giugno 2018 o a quello in cui si verificherà la risoluzione del rapporto di lavoro, se antecedente.    
            I destinatari della nuova disciplina sono i dipendenti appartenenti esclusivamente al settore privato che risultino occupati da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro.  La possibilità di anticipare il Tfr in busta paga viene preclusa per i:
      -       -  Lavoratori domestici;
      -        - Lavoratori del settore agricolo;
      - Datori di lavoro che siano sottoposti a procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione dei debiti o che siano ricorsi a programmi di cassa integrazione straordinaria o in deroga.
            Sono altrettanto esclusi dalla facoltà in oggetto i dipendenti che abbiano messo il Tfr a garanzia di contratti di finanziamento, almeno fino alla notifica, da parte del mutuante, dell’estinzione del credito oggetto del contratto.
            L’anticipo del Tfr potrà risultare particolarmente gravoso per i datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore a 50 poiché rappresenterà un esborso finanziario aggiuntivo, essedo l’accantonamento al fondo TFR normalmente “conservato in azienda”. In considerazione di ciò è stata prevista la possibilità di accedere ai finanziamenti garantiti dal Fondo di garanzia Inps da parte dei datori di lavori con meno di 50 dipendenti; in tal caso la liquidazione mensile del Tfr avverrà dal terzo mese successivo a quello dell’istanza.

            Per le aziende con un organico superiore a 50 addetti, che accantonano  le quote di Tfr già presso il fondo di tesoreria Inps, il peso finanziario dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto sarà invece invariato.