Le disposizioni dell’art. 2, co. 2, del TUIR indicano
che una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia qualora,
per la maggior parte del periodo d’imposta:
·
risulti iscritta nell’anagrafe della popolazione residente, o,
·
abbia in Italia la propria residenza, ovvero la dimora abituale (art.43,
co.2 c.c.)
·
conservi nel nostro paese il suo domicilio, ossia la sede principale degli
affari e interessi (art.43, co. 1 c.c.).
Le
suddette condizioni sono del tutto indipendenti l’una dall’altra e affinché un
soggetto sia considerato fiscalmente residente è sufficiente che sussista uno
soltanto di tali requisiti. Di conseguenza, i contribuenti, pur essendo
cancellati dall’anagrafe italiana ed essendosi iscritti all’Aire (Anagrafe
degli Italiani Residenti all’Estero), fiscalmente possono essere considerati residenti.
Tale fatto ha luogo in considerazione del fatto che l’iscrizione all’Aire è
solo un elemento formale, ed è sempre suscettibile di prova contraria. Tale
prova potrebbe consistere nel indicare, solitamente da parte
dell’Amministrazione finanziaria, il domicilio fiscale nel territorio italiano.
Il
Legislatore ha fissato il domicilio nel luogo in cui la persona ha stabilito “la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Il
domicilio è quindi un rapporto giuridico, che prescinde dalla presenza
effettiva della persona in uno spazio. La nozione “affari ed interessi”
deve intendersi non letteralmente ma in senso ampio e quindi includere non solo
i rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche quelli morali, sociali
e familiari.
In
quest’ottica, la determinazione del domicilio deve essere sempre desunta dando
rilievo anche a tutte le stretti,
prevalenti, relazioni sociali e familiari di un soggetti in Italia, tra cui ad
esempio: presenza fisica dei familiari. Tali elementi di fatto, direttamente o indirettamente,
denunciano la presenza in un certo luogo di un complesso di rapporti ed il
carattere principale che esso ha nella vita della persona.
La Cassazione sul tema era abbastanza rigorosa, in quanto
riteneva prevalentemente che l’iscrizione all’Aire non fosse determinante per escludere
la residenza fiscale in Italia quando il soggetto avesse avuto nel territorio
dello Stato il proprio domicilio ovvero la sede principale degli interessi,
affari e delle relazioni principali.
Con la sentenza n. 6501, depositata il 31 marzo scorso,
la Corte ha cambiato il proprio approccio. Infatti, ha ritenuto che le
relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini
probatori della residenza fiscale. In tale ottica, le relazioni in oggetto
possono venire in rilievo solamente se seguono ad altri probanti criteri. La
sede dell’attività lavorativa sarà pertanto il parametro fondamentale per la
determinazione della residenza fiscale del cittadini e non, come fin ora, i
legami affettivi o familiari .
Si deve sottolineare che la Corte di Cassazione ha
sentenziato in merito al caso di un cittadino italiano che si era trasferito
anni fa in un paese extra UE. In merito al trasferimento dei cittadini italiani
in altro stato membro si deve sempre considerare però l’art. 7 n. 1, co.2 della
direttiva 83/182/CEE e la giurisprudenza della corte di giustizia europea dove
si indica, qualora non sia possibile l’individualizzazione del centro
permanente degli interessi, stante una diversa collocazione geografica dei
legami personali e di quelli patrimoniali-professionali, la prevalenza dei
legami personali come punto di riferimento principe per la determinazione della
residenza fiscale.
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