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venerdì 17 aprile 2015

lettere di intento - ora anche cumulative

A partire dal 1 gennaio 2015, a seguito delle disposizioni del Decreto sulle Semplificazioni, non è più il fornitore ad essere obbligato ad inviare all’Agenzia delle Entrate la comunicazione con i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute; tale impegno è ora a cura degli esportatori abituali.
            Gli esportatori abituali, ossia i soggetti che nell’anno solare precedente, o negli ultimi 12 mesi, hanno registrato esportazioni, od altre operazioni assimilate, per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari conseguito nello stesso periodo, possono acquistare beni o forniture dei servizi in esenzione IVA, a patto che emettano le c.d. Lettere di intento. Tali documenti devono essere trasmessi telematicamente all’Agenzia delle Entrate con conseguente rilascio della relativa ricevuta telematica. Solamente dopo aver eseguito l’obbligo in esame, lo stesso esportatore dovrà  consegnare al fornitore la dichiarazione d’intento e la relativa ricevuta.
            Il fornitore, dopo aver ricevuto e controllato tale documentazione, potrà emettere fattura senza l’addebito dell’Iva e con la dicitura “operazione non imponibile”.
            La Risoluzione 34/E/15 dell’Agenzia delle Entrate porta ulteriori semplificazioni nella disciplina in oggetto. Il Fisco, sentito il parare delle Dogane, ha ammesso la possibilità per il contribuente di redigere un’unica dichiarazione d’intento cumulativa, valida per tutte le operazioni. Così viene abbandonato il sistema “one to one” che esigeva la presentazione delle dichiarazione di intendo per ogni singola bolletta doganale. Da ora in poi sarà sufficiente la comunicazione "cumulativa" trasmessa telematicamente all'Agenzia delle Entrate, e la ricevuta telematica che attesta la relativa trasmissione. La nuova procedura fa venir meno l'obbligo di controllare volta per volta ciascuna operazione.
Non è ancora disponibile il modello aggiornato delle lettere di intento, ma la dicitura (della risoluzione n. 355235 del 27 luglio 1985 finora in vigore) “nel caso di importazioni di beni la dichiarazione d’intento deve essere presentata in dogana per ogni singola operazione specificando il relativo importo”, nell'attuale modello non è più valida. In attesa dei nuovi modelli delle dichiarazioni (come riportato nella recente risoluzione): “l’operatore potrà compilare alternativamente il campo 1 ovvero il campo 2 del modello di dichiarazione d’intento, inserendo, in quest’ultimo caso, l’importo corrispondente all’ammontare della quota parte del proprio plafond Iva che presume di utilizzare all’importazione nell’anno solare”.

domenica 12 aprile 2015

Italiani all'estero - quando la residenza è comunque in Italia

Le disposizioni dell’art. 2, co. 2, del TUIR indicano che una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia qualora, per la maggior parte del periodo d’imposta:
·         risulti iscritta nell’anagrafe della popolazione residente, o,
·         abbia in Italia la propria residenza, ovvero la dimora abituale (art.43, co.2 c.c.)
·         conservi nel nostro paese il suo domicilio, ossia la sede principale degli affari e interessi (art.43, co. 1 c.c.).
            Le suddette condizioni sono del tutto indipendenti l’una dall’altra e affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente è sufficiente che sussista uno soltanto di tali requisiti. Di conseguenza, i contribuenti, pur essendo cancellati dall’anagrafe italiana ed essendosi iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), fiscalmente possono essere considerati residenti. Tale fatto ha luogo in considerazione del fatto che l’iscrizione all’Aire è solo un elemento formale, ed è sempre suscettibile di prova contraria. Tale prova potrebbe consistere nel indicare, solitamente da parte dell’Amministrazione finanziaria, il domicilio fiscale nel territorio italiano.
            Il Legislatore ha fissato il domicilio nel luogo in cui la persona ha stabilito “la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Il domicilio è quindi un rapporto giuridico, che prescinde dalla presenza effettiva della persona in uno spazio. La nozione “affari ed interessi” deve intendersi non letteralmente ma in senso ampio e quindi includere non solo i rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche quelli morali, sociali e familiari.
            In quest’ottica, la determinazione del domicilio deve essere sempre desunta dando rilievo anche a tutte le stretti, prevalenti, relazioni sociali e familiari di un soggetti in Italia, tra cui ad esempio: presenza fisica dei familiari. Tali elementi di fatto, direttamente o indirettamente, denunciano la presenza in un certo luogo di un complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona.
            La Cassazione sul tema era abbastanza rigorosa, in quanto riteneva prevalentemente che l’iscrizione all’Aire non fosse determinante per escludere la residenza fiscale in Italia quando il soggetto avesse avuto nel territorio dello Stato il proprio domicilio ovvero la sede principale degli interessi, affari  e delle relazioni principali.
            Con la sentenza n. 6501, depositata il 31 marzo scorso, la Corte ha cambiato il proprio approccio. Infatti, ha ritenuto che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale. In tale ottica, le relazioni in oggetto possono venire in rilievo solamente se seguono ad altri probanti criteri. La sede dell’attività lavorativa sarà pertanto il parametro fondamentale per la determinazione della residenza fiscale del cittadini e non, come fin ora, i legami affettivi  o familiari .
            Si deve sottolineare che la Corte di Cassazione ha sentenziato in merito al caso di un cittadino italiano che si era trasferito anni fa in un paese extra UE. In merito al trasferimento dei cittadini italiani in altro stato membro si deve sempre considerare però l’art. 7 n. 1, co.2 della direttiva 83/182/CEE e la giurisprudenza della corte di giustizia europea dove si indica, qualora non sia possibile l’individualizzazione del centro permanente degli interessi, stante una diversa collocazione geografica dei legami personali e di quelli patrimoniali-professionali, la prevalenza dei legami personali come punto di riferimento principe per la determinazione della residenza fiscale.

mercoledì 1 aprile 2015

TFR in busta paga

La Legge di stabilità 2015 prevede, in via del tutto sperimentale e per i periodi di paga ricompresi tra il 1° marzo 2015 ed il 30 giugno 2018, la possibilità di richiedere la liquidazione periodica delle quote maturate mensilmente relative al trattamento di fine rapporto da parte dei lavoratori dipendenti. A seguito di istanza del lavoratore, redatta sul modello previsto dall’apposito decreto attuativo, i datori di lavoro saranno obbligati a corrispondere la cosiddetta quota integrativa della retribuzione (Quir) pari alla misura integrale della quota maturanda del Tfr determinata in base all’art. 2120 del Codice Civile, al netto del contributo previsto dalla legge 297/1982.
            La Quir è soggetta a tassazione ordinaria e non è imponibile ai fini previdenziali.
            Il pagamento decorrerà dal mese successivo a quello di presentazione della richiesta e proseguirà fino al periodo di paga che scadrà il 30 giugno 2018 o a quello in cui si verificherà la risoluzione del rapporto di lavoro, se antecedente.    
            I destinatari della nuova disciplina sono i dipendenti appartenenti esclusivamente al settore privato che risultino occupati da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro.  La possibilità di anticipare il Tfr in busta paga viene preclusa per i:
      -       -  Lavoratori domestici;
      -        - Lavoratori del settore agricolo;
      - Datori di lavoro che siano sottoposti a procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione dei debiti o che siano ricorsi a programmi di cassa integrazione straordinaria o in deroga.
            Sono altrettanto esclusi dalla facoltà in oggetto i dipendenti che abbiano messo il Tfr a garanzia di contratti di finanziamento, almeno fino alla notifica, da parte del mutuante, dell’estinzione del credito oggetto del contratto.
            L’anticipo del Tfr potrà risultare particolarmente gravoso per i datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore a 50 poiché rappresenterà un esborso finanziario aggiuntivo, essedo l’accantonamento al fondo TFR normalmente “conservato in azienda”. In considerazione di ciò è stata prevista la possibilità di accedere ai finanziamenti garantiti dal Fondo di garanzia Inps da parte dei datori di lavori con meno di 50 dipendenti; in tal caso la liquidazione mensile del Tfr avverrà dal terzo mese successivo a quello dell’istanza.

            Per le aziende con un organico superiore a 50 addetti, che accantonano  le quote di Tfr già presso il fondo di tesoreria Inps, il peso finanziario dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto sarà invece invariato.

giovedì 26 marzo 2015

730 precompilato ed ordinario

Si avvicina sempre più il periodo del c.d. 730. Da quest’anno però si avranno a disposizione due tipi di modello: quello precompilato e quello ordinario.
            Il modello 730 precompilato consiste nel modello dichiarativo compilato dall’Agenzia delle Entrate con i dati già in suo possesso che, per quest’anno, sono in buona sostanza quelli:
-        contenuti nella Certificazione Unica (che per i dipendenti sostituisce il modello CUD);
-        relativi agli interessi passivi sui mutui, ai premi assicurativi e ai contributi previdenziali
-        contenuti nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente che “continuano” nella dichiarazione di quest’anno (es. rate delle detrazioni per ristrutturazione edilizia)
Tale modello sarà disponibile, a partire dal 15 aprile, sul sito o negli uffici delle Agenzie delle Entrate.
            I contribuenti potranno accedere alla propria dichiarazione precompilata anche tramite il proprio sostituto d’imposta, il Caf o un professionista incaricato; in tal caso sarà necessaria la delega per l’accesso.
            Una volta reperita la dichiarazione dei redditi la stessa dovrà essere verificata sotto l’aspetto della completezza e correttezza dei dati ivi contenuti. Nel caso in cui i dati risultino incompleti o non corretti si dovrà procedere all’integrazione oppure alla modifica. Ipotesi questa praticamente certa vista che le spese mediche, veterinarie ecc.. non saranno presenti.
Il contribuente che riceve il modello in commento non è obbligato ad utilizzarlo; infatti potrà presentare il 730 ordinario (non precompilato)  che  segue le modalità ordinarie.
            Sia il modello 730 precompilato che quello ordinario, dovranno essere presentati entro il 7 luglio direttamente al sostituto d’imposta, al Caf o al professionista.
            Nel caso di trasmissione indiretta occorre esibire al professionista o al caf tutti i documenti a conferma dei dati contenuti nella dichiarazione. I Caf o i professionisti dovranno poi procedere alla verifica dell’effettiva correttezza dei dati in modo da poter rilasciare il cd visto di conformità ovvero la certificazione della correttezza dei dati.

             Qualora venga apposto il visto di conformità ma, a seguito di controllo, risultino inesattezza che hanno inciso sulla corretta determinazione delle imposte dovute, il Caf o il professionista sarà tenuto al pagamento di una somma pari all’imposta non versata maggiorata degli interessi e della relative sanzione. In tali casi, pertanto, i soggetti incaricati alla presentazione della dichiarazione saranno soggetti al pagamento di quanto in realtà dovuto dal contribuente a meno che il visto infedele non sia stato rilasciato in conseguenza di comportamento doloso o gravemente colposo del contribuente.

venerdì 27 febbraio 2015

limite contanti - altalena normativa

L’uso del contante da alcuni anni è legato ad un’altalena normativa che sembra non riesca mai a fermarsi.
Pochi giorni fa è stato comunicato che si sarebbe introdotta una imposta progressiva sui versamenti in contanti oltre una determinata soglia per poi smentirla il giorno dopo.
Ora emerge che è intenzione del Governo alzare il limite dell’uso del contante da 1.000 euro a 3.000 euro.
Questi cambiamenti di rotta repentini a distanza di poco (anzi pochissimo) tempo l’uno dall’altro sono, a ben ricordare, in realtà i più recenti di una lunga serie.
Nel 2011 è entrata in vigore la norma per la quale non è possibile usare il contante quando la cifra da pagare è uguale o superiore a 1.000 euro. A seguito di una intensa protesta di commercianti ed albergatori poco dopo il limite è stato  elevato a 15.000 euro per i cittadini extracomunitari (con buona pace dei cittadini europei che potevano e possono pagare in contanti solo fino a 1.000 euro).
Nel 2013 si impone normativamente che a far data  da gennaio 2014 i canoni di locazione degli immobili ad uso abitativo si debbano pagare solo con assegno o bonifico. Non fosse che nel mese di febbraio 2014, cioè il mese seguente l’entrata in vigore della legge, il Tesoro “chiarisce” che l’importante è che ci sia traccia del pagamento e per fare questo è sufficiente la ricevuta del locatore.
Orbene l’ultima proposta di cambiamento del limite dell’uso del contante sembra in realtà legata all’introduzione della fattura elettronica (ora già presente per i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni) e/o dello scontrino fiscale telematico. Questo significa che non solo per ora l’uso del contante è limitato a 1.000 euro ma che non necessariamente verrà veramente elevato alla soglia dei 3.000 euro.

Trascurando pensieri, spesso letti e sentiti, legati al fatto che l’obbligo dell’uso del bancomat o della carta di credito per importi superiori ad esempio a 500 euro (proposta, poi non passata, che era stata fatta negli ultimi mesi del 2013) porterebbe vantaggi economici alle banche (maggiori entrate legate alle commissioni e minori uscite legate ai costi di gestione del contante) certo è che negli atri paesi dell’Unione Europea i limiti all’uso del contante sono superiori a quelli italiani. In Inghilterra addirittura il limite è di 15.000 euro e se si è considerati High Value Dealer non esistono limiti.

giovedì 12 febbraio 2015

acquisti intracomunitari nel nuovo regime dei c.d. forfettari

 I soggetti che nel 2015 applicheranno il nuovo regime forfettario potranno acquistare e vendere prodotti e servizi anche con soggetti residenti o stabiliti in altri Paesi dell’Unione Europea.
L’agenzia delle entrate ha chiarito che le cessioni di beni o servizi verso soggetti passivi comunitari non sono mai inquadrate come cessioni intracomunitarie e quindi le relative fatture di vendita non soggiaceranno mai al regime del reverse charge. Il soggetto forfettario emetterà una normale fattura di vendita senza iva in quanto contribuente forfettario. Anche nel caso di vendite a privati comunitari si emetterà la comune fattura senza addebito di iva come se la vendita fosse stata fatta ad un privato italiano. È da notare che anche nel caso si debba aprire una partita iva in un altro stato membro per la vendita in loco le fatture lì emesse dovranno essere senza addebito di iva come se fossero state emesse con partita iva italiana.
Nel caso di acquisti da fornitori comunitari le cose si complicano in quanto si deve vedere se nell’anno precedente il soggetto minimo abbia superato o meno la soglia dei 10.000 euro annui di acquisti.
Se non sono stati effettuati acquisti da fornitori comunitari superiori a 10.000 euro l’acquisto del soggetto forfettario non viene considerato intracomunitario e di conseguenza il fornitore dovrà emettere fattura nei confronti del soggetto forfettario con iva di legge (del proprio paese) anche se le normali regole imporrebbero l’inversione contabile.

Se sono stati superati i 10.000 euro di acquisti da fornitori comunitari, in questo caso, l’acquisto viene inquadrato come intracomunitario anche per il soggetto forfettario e quindi la fattura di acquisto sarà assoggettata al regime del reverse charge con il gravoso problema che il soggetto forfettario, non potendo detrarsi l’iva, dovrà versare l’iva considerata a debito nelle casse dello stato; il tutto senza averla mai di fatto incassata. 

domenica 25 gennaio 2015

Reverse charge - ora anche le imprese di pulizia

Con la legge di Stabilità  2015 si prevede, tra l’altro, l’estensione delle ipotesi di reverse charge. In particolare, in conformità rispettivamente agli articolo 199 e 199 - bis della Direttiva Iva 2006/112/CE, viene ampliata l’applicazione dell’inversione contabile anche al settore edile ed energetico anche se le operazioni vengono svolte direttamente dall’appaltatore. Infatti, a seguito dell’integrazione dell’art.17 del DPR 633/72, le operazioni del settore edile rientrano tra le:
a) prestazioni di servizi, manodopera compresa, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili diverse da quelle indicate nella voce a ter);
a-ter) prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.
            La differenza tra le due categorie di operazioni consiste nel fatto che le prime (lettera a dell’art.17) sono soggette al reverse charge solo se effettuate da subappaltatori, mentre le seconde (lettera a-ter dell’art.17), lo sono in ogni caso.
            La diretta conseguenza dell’intervento in esame, sarà il fatto che le fatture emesse dal 1 gennaio 2015, per le prestazioni di elettricisti, idraulici ecc avventi  per l’oggetto l’installazione degli impianti, saranno soggette al c.d. reverse charge in ogni caso quando rese nei confronti delle imprese (anche se emesse da parte del primo appaltatore).
            Le nuove ipotesi di applicazione dell’inversione contabile generano una serie di incertezze. Innanzitutto la possibilità che entrambe le operazioni possano rientrare contemporaneamente nelle due circostanze delineate dal’art.17 del DPR 633/72.
            Si deve infatti considerare che la demolizione degli edifici rientra nel l’inversione contabile in ogni caso, ma normalmente in presenza di una ricostruzione di un fabbricato la demolizione viene affidata alla stessa impresa che poi procede alla costruzione dell’edificio (in tal caso il reverse charge si applica solamente in presenza di subappaltatori). In presenza di un unico appalto non è chiaro come si debba gestire la fatturazione e se si debba scomporre l’operazione oggetto di appalto in due:
·         la demolizione soggetta al reverse charge,
·         la realizzazione dell’edificio soggetta all’Iva ordinaria (e al reverse charge solo in alcuni casi).

            Problematica potrebbe essere anche l’applicazione delle regole di inversione contabile nei casi indicati dalla lettera a ter dell’art.17 DPR 633/72. Infatti, in relazione dei servizi di pulizia, il reverse charge sarebbe applicabile alle prestazioni che riguardano gli edifici, in particolare la pulizia del cantiere. La lettura letterale acconsente  a ritenere che il reverse charge si applichi in ogni caso, pertanto anche quanto i servizi in oggetti riguardano le pulizie giornaliere negli uffici.